Il futuro: strutture destrutturate

Quando un film prova a darci un’immagine di una grande azienda, ci fanno sempre vedere un palazzo enorme con la direzione al ventesimo piano e sotto tante formichine che lavorano. Così, dovendo recarvi nella sede di Coca-Cola, giudicata la più importante azienda del mondo, forse vi aspettereste di trovare un grattacielo che di piani ne abbia almeno cinquanta…

grattacielo

Nulla di tutto questo. Le faraoniche organizzazioni piramidali fanno parte di un passato che, benché ancora esistente in certi contesti, non è destinato a durare a lungo. Il futuro è fatto di strutture che si costruiscono dal basso e non dall’alto. Piccoli enti, fortemente imprenditoriali, che via via si aggregano per dar vita a joint ventures in funzione di obiettivi superiori; varie joint ventures che a loro volta si aggregano per aumentare le capacità produttive e ridurre i costi e via via a salire verso organizzazioni sempre più grandi. Enti che collaborano intensamente fra loro da luoghi diversi e uniti non da un unico palazzo o da un potere gerarchico, ma dai risultati da raggiungere.

Collaborazione

Non si diventa la prima azienda al mondo replicando il passato. “Coca-Cola ha una organizzazione originale, che funziona benissimo” mi racconta infatti il dott. Tiziano Cameroni, Direttore Commerciale di Coca Cola Italia: un business model che ha la gestione di un solo cliente diretto: McDonald’s. Tutto il resto della distribuzione (perfino clienti come Esselunga) è gestito assieme ad imbottigliatori, che sono aziende produttive indipendenti, talvolta senza nemmeno alcuna partecipazione azionaria di Coca-Cola. Ad esse fanno riferimento circa 1000 Commerciali, di vari livelli e funzioni.

Nave in bottiglia

Le politiche di marketing e commerciali sono decise congiuntamente, trovate i dirigenti di Coca-Cola Italia più spesso presso gli imbottigliatori che in sede, in maniera integrata vengono organizzate le numerosissime riunioni che fanno discendere le informazioni dal livello decisionale a quello esecutivo, attraverso passaggi successivi.

Lo stesso vale se saliamo verso l’alto: la direzione generale ad Atlanta coordina le Regioni, con un occhio sempre attento anche a ciò che accade localmente, come appunto avviene per Coca-Cola Italia. Vi è sempre una comunicazione biunivoca nelle Regioni: senza attendere ordini dall’alto, ci si confronta, si comunicano le idee di successo e si lanciano stimoli verso l’alto e vice versa.

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In Italia abbiamo migliaia di efficientissime piccole e medie aziende, il loro futuro è l’aggregazione spontanea, piramidi auto-costruentesi dal basso, in funzione di risultati: aggregazioni destinate a variare continuamente, perché i risultati che servono variano anch’essi. E ciò vale anche a livello sociale: la nostra storia è quella dei Comuni: anziché basarci su un anziano signore che ci ricorda l’avvenuta imposizione dell’unità nazionale, perché non favorire, come esempio da seguire, l’imprenditorialità sociale autonoma e le aggregazioni spontanee di quelle comunità sociali che si sono dimostrate capaci di organizzare se stesse?

Collaboration

Coca-Cola, con la sua politica di aggregazione volontaria, viene riconosciuto come il marchio più simpatico al mondo. Quale grado di simpatia riscuote l’attuale organizzazione politica italiana? Pensiamoci. Volendo, il futuro può finalmente cominciare anche per noi.

CocaCola: ma dove va la ricchezza?

 

Abbiamo incontrato Tiziano Cameroni, direttore commerciale di CocaCola Italia.

CocaCola è “un’azienda americana” che sfrutta il mercato italiano per creare un guadagno ad un paese straniero?

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Non è così. Abbiamo felicemente scoperto che il sistema CocaCola genera sul territorio italiano un indotto pari allo 0,6% del PIL, con un guadagno ovvio per l’azienda, ma davvero notevole per il Paese.

Cameroni ci spiega come la generazione di ricchezza dei Paesi in cui l’azienda lavora, sia di importanza fondamentale: l’idea di un’economia sostenibile e condivisa, non a parole, ma con i fatti, è un punto di forza della strategia della multinazionale.

Gli imbottigliatori sono aziende locali e, in genere, non di proprietà CocaCola; il business viene quindi condiviso sia nelle strategie di Marketing che in quelle Commerciali.

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Vi è anche una collaborazione senza concorrenza tra le sedi internazionali per una condivisione delle “best practices”. Per esempio, la campagna pubblicitaria “share a coke”, con i nomi delle persone con cui condividere la CocaCola stessa scritto sulla confezione, è stata testata in Australia ed esportata in Europa dopo il suo successo.

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L’internazionalità si respira all’interno delle singole realtà nazionali, in cui, in media, un terzo delle posizioni lavorative è occupato da stranieri. Lo spirito di inclusività del brand non è solo una manovra pubblicitaria quindi, ma è frutto di una cultura aziendale per la quale la diversità è una ricchezza.

E, volendo creare benessere nei Paesi in cui l’azienda opera, si può capire con che filosofia CocaCola abbia aiutato a portare l’acqua in alcuni paesi dell’Africa, come utilizzi spot in cui mostra le buone azioni dei passanti, filmate dalle telecamere di sicurezza, o come, in Italia, abbia dedicato il primo giorno di esposizione della Coppa del Mondo di calcio ai quartieri disagiati di Roma, non ai VIP.

Cosa copiare dunque in tempo di crisi da questa azienda? Che la cooperazione con chi conosce il territorio è vincente e che chi è diverso può solo arricchirci. Ad esempio, Cameroni ci sottolinea come in cinese non esista la parola “crisi” e come vengano invece utilizzati due ideogrammi, “problema” e “opportunità”. Siamo sicuri che il periodo in cui siamo possa essere considerato unicamente negativo?

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